Gruppo di lettura biblica - Ciclo di studio autunno 2019

di Ruggero Marchetti pubblicato il 10/11/2019 23:31:38 in studio biblico e formazione 486

Introduzione alle lettere.

A. Presentazione delle lettere.

a. La Prima Giovanni.

Pur non iniziando con un indirizzo e un saluto di tipo epistolare, la Prima Giovanni è uno scritto che presuppone dei destinatari ai quali si rivolge spesso direttamente. I titoli più frequenti per interpellarli sono “figlioli” e “carissimi”, ma troviamo anche “fratelli”, e l’espressione tipicamente epistolare “Vi scrivo” è ripetuta ben 13 volte. Al tempo stesso però, questo scritto non sembra indirizzato a specifiche persone o comunità, ma sembra rivolgersi all'intera cristianità, con un tono che ha il sapore di una predicazione. In ogni caso è molto meglio, per la Prima Giovanni, usare il termine “epistola”, che ha in sé appunto un valore di universalità.

Per quel che riguarda il contenuto, l’epistola inizia con un Prologo che anticipa ed annuncia l’argomento del suo scritto: “la Parola che dà la vita” (che è Gesù Cristo) e affermando che la testimonianza che vuole darne è fondata su una comunione personale con il “Cristo-Parola”.

Poi, nella prima parte (da 1,5 a 2,17), l’epistola descrive l’alternativa “secca” posta da Gesù: la comunione con lui implica la rottura con il peccato. L’appartenenza a Gesù infatti comporta in modo chiaro e radicale la conoscenza del Padre e il perdono dei peccati ed esige l’obbedienza al “vecchio” e al tempo stesso “nuovo” comandamento dell’amore del fratello (“vecchio” perché presente nella Scrittura, e “nuovo” perché “la notte sta per terminare e già risplende la vera luce”. Proprio alla luce di questa novità il credente non può più “amare il mondo né le cose del mondo”.

La parte centrale dell’epistola (da 2,18 a 3,24) contiene insegnamenti sulla fede, la speranza e l’amore dei credenti. C’è un forte senso di radicalità e di urgenza, dovuto alla consapevolezza di essere ormai all’“ultima ora”. Questa consapevolezza si fonda sull’apparizione degli “anticristi” che si sono separarti dalla chiesa, i quali negano che Gesù sia il Cristo, e così, negando il Figlio, si separano dal Padre. I credenti invece, ammaestrati dallo Spirito restano saldi nell’Evangelo: sperano nella manifestazione del Signore che li renderà simili a lui perché lo vedranno come egli è, e amano i fratelli. Così sono già passati dalla morte alla vita e, rigenerati dalla verità non hanno più paura di Dio. compare qui la celebre e bella affermazione: “Se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (3,20).

La terza parte della Prima Giovanni (da 4,1 a 5,12) parla della vittoria della fede. Il possesso dello Spirito da parte del credente, di cui già si è parlato nella parte centrale, deve manifestarsi nella confessione che Gesù Cristo è venuto come vero essere umano. Chi non lo riconosce in questo modo ha lo spirito dell’anticristo. Proprio in lui, in Gesù venuto nella carne, Dio ha manifestato se stesso come amore (è la grande straordinaria definizione di Colui che è per eccellenza l’Indefinibile di 4, 18: “Dio è amore”) e ha manifestato il suo amore per noi amandoci per primo e donandoci il perdono dei nostri peccati. Quest’amore crea la nostra comunione d’amore con Dio e la possibilità di amarci gli uni gli altri, altrimenti siamo solo dei bugiardi. Chi crede ama Dio e ama i figli di Dio e osserva i suoi comandamenti. Così già “vince il mondo” e, accettando la testimonianza che Dio ha reso a Gesù e confessando la sua fede possiede il Figlio e ha la vita eterna.

I versetti finali (da 5,13 a 5,21) costituiscono una sorta di appendice e contengono alcuni pensieri sulla preghiera e un riepilogo delle idee fondamentali dell’intera epistola. Tutto si chiude poi non con la benedizione finale, ma con l’appassionata raccomandazione: “Figlioli, guardatevi dagli idoli!”.

b. La Seconda e la Terza Giovanni.

Siamo qui stavolta sicuramente alle prese con due brevi, vere e proprie lettere che un ”anziano” indirizza rispettivamente, la Seconda Giovanni, a una comunità, da lui chiamata “La signora eletta” (qui c’è l’idea della chiesa “sposa” di Cristo che è “il Signore”) e “ai suoi figli”; e, la Terza Giovanni, a un singolo credente di nome Gaio. È difficile dire se questo titolo di “anziano” che l’autore si dà indica un suo ruolo di “presbitero”nella chiesa oppure alluda al fatto che per la sua età ormai avanzata può rivolgersi ai suoi interlocutori con l’autorità spirituale che compare nei suoi due brevi scritti.

Data l’estrema brevità delle due lettere (l’anziano conclude tutti e due gli scritti dicendo: “Avrei molte altre cose da scrivere, ma non ho voluto farlo con carta e inchiostro, perché spero di venire e di parlare a voce”), non è facile capire le situazioni concrete a cui fanno riferimento.

La Seconda Giovanni sembra alludere a una situazione molto simile a quella della Prima Giovanni; accenna infatti a “molti seduttori che non riconoscono pubblicamente che Gesù Cristo è venuto nella carne” e al pericolo che rappresentano per le comunità e per i singoli cristiani. Più oscura è la situazione della Terza Giovanni, in cui si parla di un certo Diotrefe che sembra aver preso il controllo della comunità a cui Gaio appartiene e rifiuta l’accoglienza ai predicatori itineranti inviati dall'anziano. Chi è Diotrefe? È anche lui uno dei “seduttori” a cui accenna la Seconda Giovanni che ha preso il controllo della comunità o siamo qui di fronte a un contrasto di tipo ecclesiologico fra un’idea di chiesa non istituzionale fondata sulla predicazione itinerante e la nascente chiesa monarchico-episcopale, per cui Diotrefe è il “vescovo”, che vuole avere la piena autorità sulla comunità ed il controllo sulla predicazione?

B. L’ambiente delle lettere

Esaminiamo ora l’ambiente e la situazione che hanno portato alla composizione delle lettere di Giovanni.

Parleremo sia degli avversari a cui si oppongono, sia del clima culturale e spirituale che fa loro da sfondo.

Le comunità (che definiamo giovannee) sono minacciate dagli insegnamenti, indubbiamente seducenti, di cristiani (così si definivano anche loro) che, dice la Prima Giovanni, nel recente passato erano “con noi”, senza però essere veramente “dei nostri”, come s’è poi chiaramente manifestato. Queste persone negano che Gesù (la persona umana di Gesù) sia il Cristo, che sia “venuto nella carne”, non hanno amore per il prossimo e fanno delle concessioni inaccettabili al “mondo”. Il nostro autore, a cui non manca uno spirito polemico (ma qui per lui c’è in gioco tutta quanta la fede) non esita a chiamarle “falsi profeti” e addirittura “anticristi”.

Chi sono questi “anticristi”?

Un fenomeno spirituale, filosofico ed intellettuale largamente diffuso al tempo della composizione delle nostre lettere, che oggi quasi tutti gli studiosi situano fra il 90 e il 110, è stata la cosiddetta “Gnosi” o “Conoscenza”, di chiara origine ellenistica.

Sono esistiti tanti tipi di “gnosi”, dalle forme più elementari a sistemi e concezioni della realtà (Dio, uomo, mondo) raffinatissimi e spesso molto complicati, che hanno però in comune una visione fortemente spiritualistica e dualistica delle cose.

Per tutti gli Gnostici Dio, o meglio la divinità, è pura spiritualità (viene chiamato Luce, Uno, Abisso) e lo rappresentano facendo ricorso all’immagine del sole. Proprio infatti come il sole emana attraverso i suoi raggi luce e calore che colmano di sé il cielo e la terra, così il Dio della Gnosi, dalla sua abissale profondità, emana luce e vita e con la sua emanazione colma di sé e dà luogo a ogni cosa. Ma via via che la luce si allontana dalla divinità perde luminosità e forza e si formano in essa dei “vuoti di luce”, delle opacità, come degli ispessimenti che impediscono il libero passaggio della luce e che prendono nome “materia”. Proprio per le sue caratteristiche, questa materia, questa “non luce”, non ha più nulla a che fare con la divinità, le è completamente estranea, e così rappresenta la componente negativa della realtà, destinata a perire quando ci sarà la conflagrazione finale e tutto ciò che non è appartenente alla sfera divina verrà annientato.

Questa condizione materiale caratterizza anche la corporeità dell’essere umano. Ma l’uomo non è solo il suo corpo, ha una sua componente spirituale: è anche spirito, anima. Nell’anima di alcuni esseri umani (detti “pneumatici”, cioè “spirituali”) è conservata una scintilla della divinità, e questo fa sì che essi costituiscano la parte eletta, privilegiata, dell’umanità; tutti gli altri (chiamati “psichici” e “carnali”) sono destinati a perire assieme alla materia. Gli esseri umani “spirituali” invece potranno salvarsi e ritornare a unirsi per sempre alla divinità di cui portano in sé la scintilla, se giungeranno alla piena “conoscenza” di se stessi e del tesoro di cui sono portatori, della divinità e della vera composizione della realtà. Diventeranno allora degli “gnostici”, e capiranno che tutto ciò che è materia, ad iniziare dal loro stesso corpo non ha alcuna importanza al cospetto di Dio. È qualcosa delle cui pulsioni debbono liberarsi, o attraverso la più rigorosa ascesi alimentare e sessuale o, al contrario attraverso la più assoluta libertà di comportamento, il più assoluto libertinismo. Delle tentazioni infatti, ti liberi in due modi: o respingendole e mortificandole mediante l’ascesi e la penitenza, oppure assecondandole. E infatti le diverse scuole gnostiche optavano ora per la prima e ora per la seconda scelta.

Nell’ambito delle comunità cristiane a cui fanno riferimento le lettere di Giovanni erano probabilmente presenti alcuni esponenti di uno gnosticismo ancora piuttosto elementare, che non arrivavano alle speculazioni raffinate dei grandi maestri dello Gnosticismo, ma sostenevano delle tesi del tutto inaccettabili per il nostro autore o per i nostri autori (non sappiamo se l’anziano delle due ultime brevi lettere sia anche colui che ha scritto la Prima Giovanni, oppure un altro esponente delle comunità giovannee a cui dobbiamo anche il Quarto vangelo e probabilmente l’Apocalisse): il loro primo, gravissimo insegnamento è che il Cristo non sia altro che un inviato celeste venuto sulla terra a portare agli “spirituali” la nuova e vera rivelazione di Dio che farà di loro degli autentici “gnostici” destinati alla salvezza e anzi, in qualche modo, già salvati. Dal momento però che viene dal Dio che è puro Spirito del tutto incompatibile con la materia, il suo Inviato non può avere avuto alcuna contaminazione con essa. Per questo non ha mai avuto un reale corpo umano fatto di carne, ossa, sangue e tutto il resto. Insomma non si è incarnato, ma si è come rivestito di una sorta di velo che simulava un corpo, di un’apparenza di umanità, restando invece purissimo spirito sovranamente al di là di ogni mortalità sofferenza, cambiamento. Insomma è sembrato nascere, mangiare e bere, soffrire, morire sulla croce, finire in una tomba e risuscitare. In realtà è appunto soltanto sembrato vivere queste esperienze, ed invece è sempre restato nella sua beatitudine che nulla può toccare. Poi, una volta portata a compimento la sua missione ha riacquistato il suo pieno splendore, e ha manifestato qualcosa di questo splendore e della sua incorporeità nelle sue apparizioni di “risorto” (ma in realtà non lo era non essendo mai morto) ai discepoli.

Ma negare che l’uomo Gesù di Nazareth sia stato un vero essere umano, negare che sia venuto nella carne, che si sia abbassato per diventare uno di noi, e che sia morto e risuscitato per noi, è negare l’amore di Dio e la nostra salvezza. È dire di Cristo che è il contrario di quello che è stato: e chi fa questo non può non essere definito un “anticristo”.

Un altro insegnamento molto insidioso degli gnostici è di carattere eminentemente pratico. Se, come abbiamo visto, il corpo è la nostra componente che non conta nulla al cospetto di Dio, quello che facciamo con il corpo non ha alcuna importanza, ed invece ha importanza solo l’anima. Ma allora, se le cose stanno così, quando le autorità pagane chiedono ai cristiani di portare la loro offerta davanti ai simulacri dei loro idoli o davanti alle immagini dell’imperatore di turno, noi possiamo benissimo portarla. Perché è qualcosa che facciamo soltanto con il corpo e non ha alcuna importanza, mentre nel nostro spirito sappiamo che né gli idoli né gli imperatori sono degli dèi, e dunque che stiamo offrendo al nulla. Così, oltretutto rimaniamo vivi e liberi e possiamo continuare a dare la nostra testimonianza al Signore.

Ma per chi come l’autore delle lettere di Giovanni crede che Gesù sia stato veramente il primo grande martire, come possiamo noi anche solo pensare di fuggire la sua croce rifiutando il martirio? Altro che testimonianza; saremmo dei traditori come Giuda e dei rinnegatori come Pietro. Ma Pietro almeno (e anche Giuda a modo suo) si è pentito. Questi anticristi non solo non si pentono ,ma teorizzano la loro vigliaccheria!

Ecco allora il nemico contro cui combattono le nostre lettere (soprattutto la prima e la seconda): non a caso che, se la è parola “gnosi” in questi scritti non compare mai, compare invece per ben 26 volte il verbo “conoscere”, che spesso poi ha un significato anche affettivo: la vera conoscenza cioè, contro lo sterile e micidiale intellettualismo degli gnostici, ha in sé appunto una dimensione affettiva, di pieno coinvolgimento personale: è un lucido, intenso amore nei confronti di Dio e dei fratelli.

Il combattimento contro la Gnosi è poi tanto più forte ed impegnato in quanto ( è questo un aspetto molto interessante del pensiero giovanneo, che ritroviamo anche nel Quarto vangelo) la scuola giovannea è molto aperta al pensiero più elevato della sua epoca, e non ha paura, nei suoi scritti, di fare sue anche molte concezioni di quello spiritualismo dualista che anche gli gnostici facevano loro: così negli scritti attribuiti a Giovanni troviamo espressioni come “conoscere Dio”, essere da Dio”, e le antitesi tipicamente dualiste luce-tenebra, verità-menzogna, Dio-mondo. Proprio per questo era necessario precisare bene, anche facendo ricorso a toni ed espressioni molto forti, che questa terminologia non era usata per costruire un sistema speculativo, ma per richiamare all'autenticità della confessione di fede in “Gesù “il Cristo venuto nella carne”, morto e risuscitato per tutti gli esseri umani.