Culto 27/10/2019 - Ventesima dopo Pentecoste

di Ruggero Marchetti pubblicato il 27/10/2019 22:05:20 in culto 388

Luca 18, 8 - 14

Disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri:

«Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l'altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: "O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo". Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: "O Dio, abbi pietà di me, peccatore!"

p class="lead">Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s'innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato».

Un pensiero dalla predicazione

thumbnail article A questo punto, ci rendiamo conto che il fariseo e il pubblicano sono due comprimari. Che il solo vero protagonista della parabola è Dio, il Dio di Gesù, e che quello che ciascuno dei due riceve, lo riceve non “a motivo del fatto che” ha pregato così o ha pregato cosà, ma “nonostante il fatto che” ha pregato come ha pregato.

Non si tratta insomma qui di concentrarci sulla preghiera di ringraziamento del fariseo - anche se son convinto che abbiamo fatto bene ad “elogiarla” almeno un po’ per la sua sincerità, rendendo in questo modo anche giustizia a tutti i farisei sempre troppo bistrattati, e anche forse riuscendo ad evitare che qualcuno di noi oggi qui pensi: “O Dio, ti ringrazio che non sono come quel fariseo”; e nemmeno dobbiamo concentrarci sulla preghiera disperata e insieme fiduciosa del pubblicano. No, possiamo e dobbiamo concentrarci sulla misericordia di Dio, che viene ancora una volta a sconvolgere tutti i nostri parametri di giudizio.

E ci rendiamo conto che, proprio alla luce della misericordia che la caratterizza, la “parabola del fariseo e del pubblicano” ci insegna che ad un Dio così è sempre possibile e bello rivolgersi in preghiera. E anzi, proprio quando la vita si chiude su di noi come una trappola, e l'angoscia ci ricolma il cuore, e anche pregare ci sembra vano e inutile, proprio allora siamo chiamati a pregare di più, perché è proprio vero che, anche “se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore” (1 Giovanni 3, 20).

Ma possiamo pregare anche quando contempliamo con gratitudine quel che Dio ha fatto per noi e quando rileviamo ci accorgiamo dei progressi che lui ci fa fare nel nostro cammino di fede. Sì anche allora ci è consentito ringraziarlo con un cuore sereno, sapendo che il Signore accetta la nostra preghiera sorridente.

In fondo insomma, è vero che noi, quando preghiamo, siamo sempre un po' farisei e un po' pubblicani; è vero cioè che la nostra preghiera è fatta insieme di confessione di peccato e di espressioni di riconoscenza, di sospiri e di lode. Ed è anche vero che possiamo essere insieme farisei e pubblicani senza scandalo per gli altri e soprattutto per noi stessi, se crediamo che Dio ha misericordia di tutti i pubblicani e i farisei di ogni tempo e paese.


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