Culto 20/12/2020 - Quarta del tempo d'Avvento (in tempo di coronavirus)

di Ruggero Marchetti pubblicato il 19/12/2020 22:06:05 in culto 343

Apocalisse 5, 1 – 14

Vidi nella destra di colui che sedeva sul trono un libro scritto di dentro e di fuori, sigillato con sette sigilli. E vidi un angelo potente, che gridava a gran voce: “Chi è degno di aprire il libro e di sciogliere i sigilli?”. Ma nessuno, né in cielo, né sulla terra, né sotto la terra, poteva aprire il libro né guardarlo. Io piangevo molto, perché non si era trovato nessuno che fosse degno di aprire il libro e di guardarlo. Ma uno degli anziani mi disse: “Non piangere! Ecco, il leone della tribù di Giuda, il discendente di Davide, ha vinto per aprire il libro e i suoi sette sigilli”. Poi vidi, in mezzo al trono e alle quattro creature viventi e in mezzo agli anziani, un Agnello in piedi, che sembrava essere stato immolato, e aveva sette corna e sette occhi, che sono i sette spiriti di Dio mandati per tutta la terra. Egli venne e prese il libro dalla destra di colui che sedeva sul trono. Quando ebbe preso il libro, le quattro creature viventi e i ventiquattro anziani si prostrarono davanti all’Agnello, ciascuno con una cetra e delle coppe d’oro piene di profumi che sono le preghiere dei santi. Essi cantavano un cantico nuovo, dicendo: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai acquistato a Dio con il tuo sangue gente di ogni tribù, lingua, popolo e nazione, e ne hai fatto per il nostro Dio un regno e dei sacerdoti, e regneranno sulla terra”. E vidi, e udii voci di molti angeli intorno al trono, alle creature viventi e agli anziani; e il loro numero era miriadi di miriadi e migliaia di migliaia. Essi dicevano a gran voce: “Degno è l’Agnello che è stato immolato di ricevere la potenza, la ricchezza, la sapienza, la forza, l’onore, la gloria e la lode”. E tutte le creature che sono nel cielo, sulla terra, sotto la terra e nel mare, e tutte le cose che sono in essi, udii che dicevano: “A Colui che siede su trono e all’Agnello siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”. Le quattro creature viventi dicevano: “Amen”. E gli anziani si prostrarono e adorarono.

Un pensiero dalla predicazione

thumbnail article Quel bambino la cui nascita è avvenuta in mezzo a tanti dubbi e a tanta angoscia, poi fugata dall'angelo del sogno di Giuseppe: è l’“Agnello che fu immolato e ora è il Vivente nei secoli dei secoli”, che è al tempo stesso (non scordiamolo mai) “il leone della tribù di Giuda e il discendente di Davide”, che ha preso dalla mano di Dio stesso il “rotolo sigillato sette volte” del progetto divino, mentre il cielo e l’universo proclamano che appartengono a lui “la forza, la ricchezza, la sapienza e la potenza, e l’onore, e al gloria e ogni lode”. Ma se Cristo è stato insediato Signore della storia; se tutto d’ora in poi è già e sarà per sempre sottoposto alla sua sovranità, allora chi lo loda, gli deve l’obbedienza. Già, forse inaspettata, qui torna quella stessa realtà che ha caratterizzato la vicenda di Giuseppe.

Noi riformati non amiamo molto la parola obbedienza applicata alla fede. Ci sentiamo l’odore, per noi poco gradevole, dei “meriti” e delle “buone opere”. Oggi, nel vangelo dell’infanzia di Matteo, abbiamo visto che Dio stesso ha creato per Giuseppe le condizioni della sua obbedienza, mandandogli il suo “angelo” a dirgli: “Non temere di prendere con te Maria, tua moglie...”. E Giuseppe ha creduto a quella parola e l’ha subito messa in pratica. Anche nel libro dell’Apocalisse, il Cristo Figlio dell'uomo (il figlio di Giuseppe e di Maria) si rivolge sovente ai credenti definendoli “servi”, uomini e donne chiamati all’obbedienza. La fede, insomma, nasce da un comando concreto a cui si deve dare compimento. E allora l’obbedienza non soltanto ha a che fare con la fede, ma è e resta l’altra faccia della fede. Ed è sempre così. E chi non obbedisce, anche se dice d’essere un credente, è piuttosto un illuso che “crede di credere”. Nessuno può meravigliarsi della sua incredulità, finché non si cura di obbedire al comandamento divino. Se non sottometti alla sua Parola una passione che ti rende schiavo, o i tuoi sogni, o un rancore, o un’inimicizia, oppure i piani che fai per la tua vita, non puoi lamentarti se poi ti senti arido, se non riesci a pregare… Se rifiuti la parola del comando, non puoi invocare la parola della grazia, perché come potrai invocare e lodare come tuo Signore colui al quale hai negato l’obbedienza?

Solo chi obbedisce crede davvero, e può vivere la gioia di chi, nell’impegno al servizio dell’unico Signore che regna in terra e in cielo, riceve un senso per la propria vita, si scopre con stupore “re e sacerdote per il nostro Dio”.

Oggi il comando del Signore per noi è vincere la paura che ci chiude in noi stessi, ci toglie la speranza e la fiducia che il Signore è più forte di ogni cosa e mette in gioco la nostra dignità di uomini e donne liberi e responsabili, anche di fronte alla pandemia. Il Covid passerà, come passa ogni cosa che non sia lui, il Signore vittorioso sul male e sulla morte. Allora anche per noi ci sarà il canto della riconoscenza, e quel canto salirà fino al cielo… diventerà parte del cantico di giubilo che – se porgiamo l’orecchio per udirlo – già ricolma di sé tutto il creato. È già il canto del Natale che ci attende, questo Natale “in rosso” che ci vedrà rinchiusi in casa nostra, questo Natale umanamente triste, nel quale neanche ci è concesso di cantare con la bocca, sotto alle mascherine. Ma il cuore può cantare, anticipando l’ennesimo trionfo del Signore: “A Colui che siede su trono e all’Agnello siano la lode, l’onore, la gloria e la potenza nei secoli dei secoli”.

Il pastore


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