Culto 19/07/2020 - Settima dopo la Pentecoste

di Ruggero Marchetti pubblicato il 17/07/2020 14:39:36 in culto 416

Genesi 28, 10 – 19a

Giacobbe partì da Beer-Seba e andò verso Caran. Giunse ad un certo luogo e vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre del luogo, se la mise per capezzale e lì si coricò.

Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di Dio salivano e scendevano per la scala. Il Signore stava al di sopra di essa e gli disse: “Io sono il Signore, il Dio d’Abraamo tuo padre e il Dio d’Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo paese, perché io non ti abbandonerò prima di avere fatto quello che ti ho detto”.

Quando Giacobbe si svegliò dal sonno, disse: “Certo, il Signore è in questo luogo e io non lo sapevo!”. Ebbe paura e disse: “Com’è tremendo questo luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del cielo!”.

Giacobbe si alzò la mattina di buon’ora, prese la pietra che aveva messa come capezzale, la pose come pietra commemorativa e vi versò sopra dell’olio. E chiamò quel luogo Betel (Casa di Dio).

Un pensiero dalla predicazione

thumbnail article Questo antico racconto del “sogno di Giacobbe” ci fa dono di due insegnamenti che ci possono aiutare.

A. Anzitutto, la pagina di oggi evidenzia una tensione fra il Dio che sta a Betel e quello che, in virtù della benedizione di cui è portatore, è in cammino con Giacobbe, e dunque, fra il Dio che abita in un luogo ben preciso, per questo un luogo sacro, e il medesimo Dio che promette a Giacobbe di accompagnarlo nelle sue peripezie. L’abbiamo ascoltato: “Io sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai”. Così, in questa situazione, non possiamo non chiederci: “Dio qui, è il Dio che sta sulla scala o non piuttosto è quello che sta a fianco di Giacobbe il fuggitivo? Più che scegliere fra una delle due opzioni, si tratta di riuscire ad articolare fra di loro queste due diverse, e tutte e due “legittime”, presenze divine. Giacobbe qui non passa semplicemente dal “profano” al “sacro” come per una porta che collega fra loro due mondi ben distinti. Nel racconto di Betel, il profano si fa sacro, e Giacobbe si vede rivelare una identità di cui era già il portatore. Quando nella sua fuga si ferma a pernottare in quel luogo sconosciuto, non ha nulla con sé, ma ha la benedizione che ha strappato a suo padre con l’imbroglio. Quando allora nel sogno Dio gli parla, non gli dona la benedizione di cui è già il portatore. Insomma, non è la notte di Betel che ha fatto di Giacobbe il nuovo riconosciuto patriarca di Israele, ma in quella notte a Betel gli è stato rivelato che lo è!
Quando veniamo al culto, non veniamo a ricevere il dono di una nuova fede che prima non avevamo. Ci veniamo già “credenti”. Ma questo non vuol dire che non riceviamo nulla. Proprio come è capitato a Giacobbe a Betel, ci viene rivelato ciò che noi siamo già stati chiamati ad essere, e la promessa che ci è stata donata e che, al di là e al di fuori del culto - possiamo e dobbiamo portare con noi e testimoniare nella nostra esistenza di ogni giorno. Insomma, non due mondi totalmente diversi, ma due percorsi che possono incontrarsi, e possono donarci una nuova consapevolezza e un nuovo slancio per essere chi siamo, per la grazia di Dio.

B. Perché però ciò accada è necessario (è l’altro insegnamento che ci viene dal “sogno di Giacobbe”) che i gesti e le parole che compongono il culto cristiano non siano troppo diversi dai gesti e dalle parole della nostra esistenza quotidiana. In fondo, quando s’è risvegliato dopo il sogno, Giacobbe ha semplicemente piantato nel suolo la pietra grezza sulla quale aveva dormito, e se poi ha compiuto su di essa un rito sacro ungendola con l’olio, non l’ha però scolpita, non ne ha fatto una statua. Così anche noi stiamo compiendo un rito, ma contrariamente a quello che altri credenti di altre confessioni fanno, addirittura a volte ricorrendo a una lingua che nessuno più parla e a gesti e a paramenti particolari per rivolgersi a Dio, dobbiamo sempre stare bene attenti a fare sì che quello che facciamo non sia qualcosa di estraneo e misterioso.
Il nostro ritrovarci per ascoltare la Parola di Dio, e per pregare e per cantare insieme, dev’essere un momento non staccato degli altri momenti della nostra vita, ma è unito a loro come in una catena. Un momento rituale che chiaramente ha la sua tipicità, e anche una sua diversità rispetto agli altri momenti del nostro vivere, ma che resta un momento tra gli altri e con gli altri. Insomma, un momento particolare in cui viviamo un’esperienza esplicita e comunitaria di fede che alimenta, legandosi con loro, tutte le altre esperienze di fede che facciamo nella vita di ogni giorno.

Il pastore


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