ESODO 32, 1 - 35
Noi Valdesi abbiamo una caratteristica che ci avvicina molto ad Israele. Come lui siamo una comunità di fede e siamo un popolo. Ma che popolo siamo? Soprattutto, che comunità, che chiesa siamo? Non ci è dato di illuderci: come un po' tutte le altre, anche noi siamo una chiesa “mista”: al tempo stesso la chiesa di Mosè, col nostro aspetto profetico (e essere questo ci piace proprio molto) e la chiesa di Aronne, col suo lato religioso ed istituzionale.
E però poi alla fine non è male avere il “lato Aronne”: è il servizio umile e necessario di iscrivere nella quotidianità, con dei gesti un po' ripetitivi, quello slancio di libertà che ci viene “da altrove”, che ci arriva da Dio. Ed è anche la dimensione della legge che nella chiesa c'è e ci deve anche essere - noi protestanti non lo ricordiamo volentieri, ma nel Sermone sul monte, Gesù ha anche detto: “Non pensate che io sia venuto per abolire la Legge o i profeti; io sono venuto non per abolire, ma per portare a compimento”. Ma siamo anche, per la grazia del Signore, la chiesa che profetizza, che cioè ascolta e proclama la Parola. Anzitutto siamo infatti chiamati, come singoli credenti e come chiesa, ad ascoltare e a meditare la Parola di Dio nella sua ricchezza e anche nella sua complessità; e poi a annunciarla non come un insieme di regole, ma come la Parola della vita, come l'evangelo, l'“acqua viva” di Gesù.
Ma non soltanto la dobbiamo annunciare: la possiamo e la dobbiamo anche raccontare. In questo tempo “post-moderno” che non fa quasi più memoria del passato ma vive solo aggrappato al presente e in questo modo perde il suo futuro, perché se non hai un passato non puoi avere neanche un futuro, e così vive in uno spaventoso deficit di speranza, con tutte quante le angosce e le paure in cui tanti oggi vivono... in cui tanti vivevano già ben prima del Covid… in questa epoca “liquida” e difficile, noi possiamo “fare memoria” del Dio liberatore e del popolo da lui liberato. E in questo fare memoria, possiamo raccontare anche quello che è successo quando Israele ha corso il rischio di cedere ad un “vitello d'oro” la propria libertà, e soprattutto la libertà di Dio. Lo dobbiamo raccontare per evitare che accada di nuovo, che accada a noi e all’umanità di cui noi siamo parte di rinunciare per un po’ di sicurezza alla nostra libertà e a quella del Signore.
È scritto in Isaia 21,11: “Sentinella, a che punto è la notte?”. Oggi le sentinelle che vegliano nel buio siamo noi. Tocca a noi mettere in guardia noi stessi e chi ci è accanto contro il pericolo dei compromessi, del disimpegno, del “chi me lo fa fare”, del ricercare la sicurezza facile di chi non deve pensare perché fa sempre quello che fanno tutti quanti, e in questo modo, senza nemmeno obbedisce a chi ha in mano le leve del potere, e così perde la propria dignità di credente e di essere umano liberato e perciò libero.
Il pastore
Il culto solo con la traccia audio.
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